L’arte “ecologica” recupera, dunque. Recupera la materia, ma anche i valori, la dignità, il rapporto con gli elementi naturali, la Terra Madre sacra e così preziosa.
Le opere in mostra di Mena Pezzullo materializzano questa riflessione, e i fili sottili e ostinati si rincorrono, come a tessere delicatamente un collegamento tra passato e futuro, a riflettere su cosa ne sarà di noi. Ci trascinano lungo questa parentesi tattile e concreta, per smuoverci dalle anestetiche vite di corsa. Tutti i materiali riutilizzati, già abbandonati, acquistano una nuova identità, riacquisiscono la loro dignità. Il concetto di rifiuto viene ribaltato, il materiale di risulta e gli scarti diventano…seducenti. Waste/value! Immondizia/valore: ovvero il rifiuto manipolato e re-interpretato per rielaborare ciò che era destinato all’abbandono. O per insegnare a dare valore alle cose: un riscatto estetico per raccontare che Nulla può essere definito inutile, e amare il rifiuto è amare una parte della nostra storia, per comprendere da dove proveniamo e soprattutto dove stiamo andando.
Le opere tutte si esprimono delicatamente, nessuna ha un tono provocatorio o di contestazione, come l’opera dove porta? che si apre verso la diffusione di una coscienza ecologica, ci approccia a stili di vita meno consumistici. Si spalanca verso una nuova visione della bellezza, quella che noi stessi dobbiamo decidere di salvare.
Consapevolmente e con determinazione. Zagrebelsky smonta l’uso della frase “La bellezza salverà il mondo”: «è palesemente una sentenza enigmatica, un luogo comune, invocazione banale e consolatoria».
La bellezza non può darci nessuna salvazione in automatico, assolvendoci da ogni responsabilità.
Al contrario, la bellezza non salverà nulla e nessuno, se noi non sapremo salvare la bellezza.
E il nostro pianeta.